Dalla Val di Fua un arioso giro sulle Montagne della Duchessa

Il Lago della Duchessa, Cimata di Macchia Triste e il Murolungo


Non rappresenta assolutamente una novità questa escursione che vado a raccontare, anzi, tutt’altro è una delle classiche più consuete del Velino ed anche tra quelle più documentate. Favorevole un Ottobre che definire meraviglioso è davvero poco, in netto contrasto col l’estate e la sua coda perturbata, e spinti dalla “smania” di Marina per riuscire a mettere finalmente piede sul Murolungo abbiamo improvvisato questa, nonostante l’abbia definita iper-classica, impegnativa escursione. Su tutte le pagine del web è ampiamente descritta, anche su queste del nostro amichevole e romantico sito è più volte raccontata; quando dalla val di Teve, quando attraversando il gruppo montuoso da Est verso Ovest e quando dalla Val di Fua, il Murolungo è una montagna sempre gettonatissima. L’andata e ritorno per la val di Fua fino al Murolungo vale la pena raccontarla comunque e ricordarla, e magari ridestare il desiderio attraverso delle foto che spero siano suggestive. Da Cartore partiamo, non sono ancora le 8, la mattinata è fresca ma promette una giornata sfavillante. La poca luce della mattina quasi sparisce all’interno della val di Fua che inizia ad appena dieci minuti dopo la partenza dal sentiero a sinistra della piazzetta dove si parcheggia l’auto, proprio accanto alla fontana. La valle è subito stretta, sovrastata da pareti ripide, bassa vegetazione e bassi alberi la invadono ovunque ed il sentiero, ben tracciato e ben segnato serpeggia con svolte ripide ma facili; è una costante della parte iniziale, dei primi 2 chilometri, una sorta di jungla, per lo più il cielo è rimasto nascosto dalla verde volta del bosco, il tempo è sembrato fermarsi insieme all’aria circostante, la temperatura era fresca ma perfetta per una passeggiata in cui non c’era posto alla fretta. I dettagli della natura sono nostri, i pochi rumori anche, diventa facile diventare tutt’uno con quello che abbiamo intorno. Fino al salto di roccia prima del vallone del Cieco il sentiero fila tra foglie secche, fondo terroso e morbido disseminato di pietre coperte da muschio, costantemente in salita ma mai affannoso; poi in prossimità di uno sperone iniziano svolte ripide e frequenti, aumenta la pendenza ed in pochi attimi si sale di circa duecento metri. Alcuni affacci vertiginosi attutiti solo dal folto degli alberi giù sotto danno senso all’affanno che viene in questo tratto del sentiero. Si sale talmente tanto ripidamente che ad un certo punto, guardando a ritroso, si riesce a percepire l’imbocco della valle e le piane esterne. Quando finiscono le ripide svolte una facile ed ampia cengia, comunque protetta da una catena su cui farsi sicuri, preannuncia il vallone del Cieco, in pratica la porta di accesso alla piana della Duchessa; è un vallone diritto, dentro un foltissimo alto bosco di faggi. Lo ricordavo ripido e monotono, non che non lo fosse ma lo stato di grazia della giornata, i colori autunnali che i primi raggi del sole infiammano, lo rendono intimo e per questo leggero. Lenti, su una pendenza accentuata e costante, su un terreno a tratti scivoloso tanto è inclinato, innamorati dei colori che lentamente ovattano l’atmosfera che ci circonda proseguiamo incontrando altre coppie tutte dirette sulla stessa montagna. Usciamo dal vallone del Cieco che nemmeno ce ne accorgiamo, l’affanno dovuto alla lunga pendenza non è più con noi, non ricordo nemmeno quando ci ha abbandonato, forse quando le nostre menti sono entrate nei ritmi del bosco che avevamo intorno. Gli spazi si allargano, i ripidi contrafforti del Murolungo a destra iniziano ad intravedersi, grandi faggi isolati e per questo più liberi di sfoggiare chiome maestose preannunciano il bivacco Panei, la prima delle Caparnie, l’unica adibita a rifugio aperto a tutti. Proprio dove la valle si apre l’aria perde quella sua immobilità, un vento lento ma fresco, di più, quasi freddo, ci assale; siamo ancora in ombra ma in maniche corte o di camicia e le cose sono due: o ci copriamo o acceleriamo il passo. La davanti a poche centinaia di metri una delle Caparnie esce dal cono d’ombra del Murolungo, è la nostra meta per scaldarci un po’ e per fermarci per mangiare qualcosa. E’ piacevole allungare muscoli e ossa al sole, un po’ meno essere accerchiati da tonnellate di sterco di mucca. Meglio il freddo o l’acre odore, meglio dire puzza, della natura brada? Ovvio, la seconda, in fondo la natura è bella e va vissuta in tutti i suoi aspetti, anche quelli … meno odorosi. Dopo un veloce snack c’era un validissimo motivo per alzare le tende, anzi due; togliersi dagli odori acri era ormai impellente e poi oltre quelle tonde colline che avevamo davanti doveva esserci i lago e Marina scalpitava per arrivarci. Come una bambina, e si che lo conosceva già. Arriviamo alla piana del lago camminando su un manto erboso morbido e verdissimo, sembra velluto; davanti, sul piano inclinato del Costone il sole dei pomeriggi precedenti non è riuscito a sciogliere la prima sfuriata nevosa di metà Ottobre. Il lago è scuro, melmoso, usato come è dalle mandrie di mucche e cavalli come abbeveratoio, ma è fantastico, incastonato in un ambiente fermo a attraversato dai bassi raggi del sole. I ritmi lenti dell’escursione, insoliti quando si esce in gruppo, mi fanno apprezzare moltissimo ambienti che pure conosco bene; come fosse la prima volta percepisco forse come non mai l’ambiente che ho intorno, mi sta accadendo quello che solo una settimana prima mi era accaduto selle creste poco lontano della Cimata del Puzzillo; sento la bellezza del territorio, percepisco la conformazione del terreno, le valli, le dorsali, le ripide pareti che salgono verso l’alto non sono più terreno di conquista, diventano elementi sostanziali del mondo, scorci da ammirare, da mettere in relazione con quelli vicini. Lentamente mi fondo con la natura che ho intorno, con i colori, col la temperatura dell’aria, col vento ed ogni passo è nuovo. E’ una dimensione che troppe volte ho perso e che le ultime uscite mi fanno ritornare. Mi sto innamorando di stare in montagna, non della montagna, ma del suo ambiente, dove la vetta è solo un di cui e non più l’essenza. Giriamo intorno al lago, lentamente, fermandoci ogni tanto per guardarci intorno. Il sentiero che sale alla sella su in cima tra la Cimata ed il Murolungo non è ben tracciato, ormai a fine stagione è invaso d’ erba; lo intuiamo e lo seguiamo per un po’, fin tanto che non decidiamo di salire per linee logiche direttamente a sinistra, verso le pendici della Cimata di Macchia Triste; attraversiamo Valle Fredda verso Est, per dorsali erbose facili saliamo fin sulla cresta che abbiamo a sinistra; ad ogni passo il panorama si allarga su tutta la piana, sul Morrone, anzi su Cima ZIS, sul Murolungo, sull’Uccettu’ e sul lago che lì, centrale a tutto, sembra una irregolare perla nera. In cresta scorgiamo il grosso omino di vetta della Cimata, lo raggiungiamo seguendo linee per niente ripide, proprio mentre, oltre il Rozza, oltre la val di Teve, oltre il Murolungo minacciose quanto enormi nuvoloni iniziano a salire e vorticare. La panoramica sulla valle dei Briganti e sulla parte centrale del Velino è unica vista dalla Cimata. Sarà per la profondità della valle dei Briganti che contrasta con i ripidi costoni del Rozza e con le slanciate piramidi del Sevice e del Velino che dietro appena sporge, sarà per quel leggero tocco argenteo che emana la poca neve ancora in ombra su quei versanti, il massiccio centrale del Velino appare di una enormità che quasi intimorisce. I nuvoloni vorticosi che ora di più ora di meno sembrano voler spezzare l’equilibrio della giornata innervosiscono Marina che vuole a tutti i costi raggiungere il Murolungo col sole. Rimpiango per un attimo di aver pensato a questo giro e di non aver toccato per prima la vetta principale. Scendiamo veloci verso la sella, meno veloci risaliamo il fianco erboso della dorsale che anticipa il Murolungo; quando svalichiamo la vetta è ancora al sole, le nubi non la sfiorano nemmeno, scorgiamo le bianche sagome innevate del Gran Sasso coperte da nuvole ma non gli diamo molto peso, capiamo che stiamo dedicando meno tempo di prima a ciò che ci circonda, la foga di arrivare in vetta senza le nuvole si è impossessata di noi . Attraversiamo una placida conca erbosa, con una vista davvero unica del Murolungo da dove la lunga pagina rocciosa sembra ridursi ad una piramide accuminata, divisa da una fenditura, l’ingresso della grotta dell’Oro. Rimane poco alla vetta, solo la lunga cresta e mentre ci siamo sopra inizia il lento balletto delle nuvole. Affascinante sconvolgimento delle prospettive, nuvole che giocano a coprire e scoprire, salgono dal versante Ovest, invadono il fianco della montagna fin quasi alla cresta e poi velocemente e improvvisamente come son venute si dileguano. Dietro, a Sud, un momento che ti volti, il Velino si mostra in tutta la sua enorme vastità e l’attimo dopo che ti rigiri ancora non c’è più. Poi è la volta della vetta del Murolungo a sparire, non finisco di imprecare che già riluce di nuovo al sole. E’ questione di attimi, prima o poi si coprirà del tutto ma noi saliamo veloci; ormai ci siamo e sono convinto che scorgeremo dalla croce di vetta i panorami più belli di sempre. Ormai a cinquanta metri dalla vetta siamo noi ad essere avvolti dal grigio delle nuvole, la vetta si intravede ancora, quella dello Iaccio dei Montoni è sparita nel grigio più impenetrabile. Quando quasi ci rassegniamo ad arrivare in cima nel bel mezzo del nulla la croce appare ancora brillando sotto i raggi del sole, di nuovo il sipario si è rialzato, proprio mentre tocchiamo la cima. Per pochi istanti , per pochi minuti, quelli necessari per godersi il panorama verso Est, sulla piana del lago e verso il Costone; verso Ovest e Sud Ovest è un accavallarsi di nuvole, uno sbuffare convulso che nasconde e scopre, poi, lentamente, più nulla, poi la grigia coperta si allunga su di noi e siamo improvvisamente soli, con una croce di acciaio che ci domina in bilico sul precipizio. Ma almeno non è freddo, ci copriamo per ripararci dall’umidità delle nuvole e bivacchiamo; una panino, una chiacchierata, della frutta e tanto silenzio, il nulla, e lentamente ci riappropriamo del tempo, dello spazio che intuiamo ma non vediamo, che ci circonda. Il Murolungo non si muoverà, ci torneremo col sole, per ora stavamo vivendo un momento incantevole e andava bene così. La discesa è per la stessa via fino al termine della cresta e alla conca erbosa sottostante. Dall’alto, fin tanto che si poteva, avevamo visto tracce di sentiero che scendono alte sulla dorsale, al limite della Valle Fredda, per cui tentiamo di raggiungerle; una volta sotto la cresta ci teniamo a sinistra, verso il Murolungo, risaliamo le erbose dorsali che abbiamo di fronte fino a quota 2053, senza nome sulle carte e ci infiliamo in una anonima ma stretta valle erbosa dalla parte opposta; in mezzo è colma di neve è la nostra prima neve di stagione. Percorrendola tutta si fa più profonda e anche la mole del Murolungo sparisce; siamo scesi di quota, rimangono ancora con un po’ di nuvole e nebbia ad attutire i suoni e ci sembra davvero di essere fuori dal mondo . Usciamo più in basso proprio al cospetto della parete del Murolungo, ci sovrasta, sembra caderci addosso, ipnotizza, tra noi e la roccia solo la buca ghiaiosa fino alle pendici della montagna, da dove risale ripida e si insinua all’interno della grotta dell’Oro. Lo sguardo e la fantasia sono attirati dal quella spaccatura, un motivo in più per tornare al Murolungo, credo varrà senz’altro la pena ficcarci il naso dentro. Seguendo le tante tonde alture che fanno parte della dorsale Ovest che delimita la Valle Fredda e seguendo una labile ma certa traccia di sentiero scivoliamo verso valle ma rimaniamo alti sul lago. Ci teniamo sotto le pendici del Murolungo e attraversando una sella tra questo ed una altura pronunciata senza nome sulle carte intercettiamo un sentiero ampio che in pochi minuti ci porta direttamente alle Caparnie e al Bivacco Panei. Proprio mentre il sole ci regalava sprazzi di luce e riflessi dorati illuminando il rado bosco della cimetta senza nome. Ci fermiamo al bivacco, ultima sosta; il rifugio è vuoto, in ristrutturazione, è stato completamente ripulito, c’è un camino ma manca la legna, se verrà attrezzato con brande e qualche suppellettile diventerà un’eccezionale base di appoggio per tutte le stagioni, sempre che i figli di quella mamma che è sempre incinta non decidano altrimenti. La discesa per la Val di Fua è come l’andata, affatto noiosa e soprattutto veloce, anche piacevole, va detto che lo spauracchio Val di Fua va completamente riconsiderato alla stregua delle valli attigue più famose, forse è anche più bella ed interessante delle altre. E poi l’arrivo a Cartore, sorprendente come sempre per come, nonostante sia così isolato, sia capace di catalizzare tanta concentrazione di esseri umani. Una festa nel piccolo villaggio, la forestale che per tradizione, dovere e anche piacere aggiungo io, staziona sotto la grossa quercia, anziani intenti a fermare il tempo con una placidissima chiacchierata, il parcheggio è pieno di auto. Il prossimo anno sarà ancora Cartore, ancora Murolungo e questa volta sarà anche Grotta dell’Oro ; pensiamo che si tratta solo di un arrivederci mentre veniamo scossi dai sobbalzi dovuti alle buche della brecciata che ci porta verso l’autostrada.